REGIONE

LA VALLE MOROBBIA

La Valle Morobbia non s'incontra così per caso, occorre cercarla! Nella conca bellinzonese il visitatore occasionale che guarda ad est ha l'occhio attratto dalla collina sopra Giubiasco e crede che tutto finisca lì: al di là del promontorio, dove numerose villette sono disseminate fra vigneti e castagneti, il paesaggio sembra infatti chiudersi. E invece la Valle Morobbia si apre proprio qui, con i suoi piccoli villaggi ridenti che sbirciano da lontano il Piano di Magadino e più oltre, il lago.

La strada cantonale che sale da Giubiasco, sinuosa ma agevole, dopo le località di "Sasso Piatto", dei "Motti", di "Lôro", tutte frazioni collinari del borgo e dopo il comune di Pianezzo, il più popoloso della valle, ancor affacciato sul terrazzo, con la sua frazione di Paudo posta su un balcone montano, continua per complessivi 12 chilometri. Sul versante destro tocca successivamente gli abitati di Vellano, Riscera, Carmena, Melera, Melirolo e Carena, che insieme formano l'alto comune della Valle, Sant'Antonio. A Carena, 1058 metri sul livello del mare, la strada si ferma.

Sul versante opposto, vi è la zona dei "monti". Le antiche cascine del bestiame, sottratte al loro uso rurale siccome l'agricoltura e l'allevamento sono in pratica scomparsi, sono state trasformate e destinate a soggiorno di vacanza e di svago per la popolazione indigena. Sono raggiungibili solo a piedi, per sentieri che dai vari nuclei, scendono al fondovalle per poi risalire sul ripido versante opposto. Il fiume Morobbia scorre incassato e nascosto. Alimenta a metà valle il bacino di accumulazione di Carmena che fornisce elettricità ai comuni del Bellinzonese.

La vasta rete di sentieri, come quelli che si dipartono da Carena verso l'Italia e il lago di Como, attraverso il passo del San Jorio (che fu importante via di comunicazione), verso il Camoghè a sud, verso gli alpeggi del Gesero a nord, offre molte possibilità di escursioni.

La Valle Morobbia non è ricca né di tradizioni né di storia con le quali collegare il passato al presente. Agli inizi del secolo subì, come la maggior parte delle valli ticinesi, gli effetti negativi dell'emigrazione. Numerosi "morobbiotti" partirono per cercare lavoro un po' in tutta l'Europa e perfino in Australia. La meta privilegiata restò tuttavia la California, considerata l'Eldorado da chi cercava fortuna, ma che invece vi trovò assai più spesso solo duro lavoro come bracciante o guardiano di mandrie (Cow Boy), privazioni e miseria. A casa restavano, con i vecchi, le donne che avevano il gravoso compito di allevare la famiglia e di mantenere in vita quella magra attività agricola e pastorizia, con miseri guadagni.

Era di contro fiorito un contrabbando che in quella fase si poteva definire "romantico" e sopperiva alle necessità di sopravvivenza, non solo della popolazione locale, ma di tutto il distretto. Era esercitato per lo più da gente del posto, utilizzava la vecchia via pedestre del San Jorio, che nei secoli era caduta in disuso e favoriva il commercio fra i due versanti del confine. Infatti, s'importavano riso, pasta, salumi, stoffe e tappeti in cambio di sigarette, sale e caffè. Sulle difficoltà di questo commercio molto è stato scritto e non mancano gli episodi, taluni singolari, altri drammatici, che avvenivano al di qua e al di là del passo. Molti e ingegnosi gli stratagemmi usati per eludere i controllo delle guardie di confine che, peraltro, talvolta chiudevano "un occhio". Questo contrabbando durò fino alla fine della seconda guerra mondiale quando le aumentate possibilità di approvvigionamento lo resero gradatamente inutile. Si continuò per un certo tempo con il contrabbando di sigarette, organizzato da qualche ristoratore locale, ma anche da rappresentanti di tabacco che si occupavano di preparare le "bricolle", i pesanti pacchi da affidare agli "spalloni".

L'operazione avveniva direttamente sulla piazza di Carena, sotto gli occhi dei doganieri svizzeri, che non avevano nulla da obiettare poiché per il nostro Paese questo commercio era considerato regolare. Diversa l'accoglienza sul versante italiano dove le spedizioni notturne ebbero talora anche esiti fatali. Dopo qualche anno, il contrabbando preferì canali più facilmente accessibili e meno rischiosi e quest'attività cessò.

Nel dopoguerra, le condizioni di vita migliorarono e così pure le possibilità di lavoro, particolarmente nel pubblico impiego a Bellinzona e Giubiasco (nelle Ferrovie federali svizzere, in Posta, nell'Amministrazione cantonale), nelle nuove industrie del borgo (Linoleum -ora Forbo-, cappellificio, Ferriere Cattaneo) e nelle altre attività commerciali che man mano si erano installate sul Piano di Magadino.

La Valle Morobbia, benché finora non sia particolarmente orientata verso il turismo, può arricchire l'offerta cantonale in questo preciso settore, offrendo un territorio in gran parte incontaminato. I suoi boschi coprono una superficie di 3'500 ettari. Ci vive una fauna eterogenea, con colonie anche spettacolari di camosci, cervi, caprioli. Una fitta rete di sentieri, di oltre 90 chilometri, percorre il territorio. Da Carena, l'ultimo villaggio, si può raggiungere la zona degli alpeggi. Qualcuno oggi è abbandonato, ma non Giumello, l'alpe modello dello Stato, dove si produce un formaggio di gran pregio. Si può proseguire verso il Passo del San Jorio (2'012 m/sm) e passare nella vicina Italia per arrivare a Garzeno e a Dongo, sul lago di Como. Un'ulteriore possibilità è di scendere ad Arbedo e a Roveredo, nel vicino Cantone dei Grigioni, attraverso l'Alpe del Gesero

Tratto dal libro "Il sapore del tempo - La valle Morobbia" di Silvano Codiroli.

PECULIARITÀ GEOLOGICHE

La Valle Morobbia è impostata lungo il contatto fra la zona delle radici delle Alpi centrali e lo zoccolo cristallino delle Alpi meridionali, marcato da un’importante faglia con piano molto inclinato e orientata est - ovest: la Linea Insubrica. Questa struttura si estende dalla Valtellina al Piemonte e si è formata a partire dall’Oligo-Miocene 25 milioni di anni fa (ma), lungo di essa è stato riconosciuto uno scivolamento laterale di oltre 60 km.

A nord della Linea Insubrica, in sponda destra della Valle Morobbia, si trova la Zona del Tonale e gli Gneiss di Melirolo, questi ultimi derivanti da rocce della Bregaglia (30 ma), deformate a causa dei movimenti lungo la faglia. Immediatamente a sud della Linea Insubrica sono presenti lenti di dolomia Triassica (225 – 180 ma) non metamorfizzate. Il fianco sud della Valle Morobbia è interamente impostato nello Zoccolo cristallino delle Alpi meridionali (Zona di Strona Ceneri), che consiste in gneiss, micascisti e rocce basiche, di età paleozoica (2500 - 300 ma). I “filoni” contenti ferro interessano solamente il versante sinistro della Valle e appartengono al vasto distretto minerario che comprende Dongo e la Val Cavargna, in Italia, e alcune valli vicine in Ticino.

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LA VIA DELL'ACQUA

«La Via dell'Acqua» è un sentiero didattico, nato dalla collaborazione tra l'Azienda Multiservizi Bellinzona (AMB) e la Regione Valle Morobbia, che mostra come si produce l'energia e la storia dello sfruttamento idrico in Valle Morobbia con l'ausilio di 9 pannelli esplicativi correlati da fotografie. Il suo percorso porta l'escursionista a scoprire la grandiosa opera dell'uomo, dal bacino di accumulazione della diga di Carmena (alta 39 metri, la cui corona misura 99 m e con la capienza di 250'000 metri cubi d'acqua) fino a raggiungere le turbine per la produzione di energia pregiata della centrale idroelettrica della Morobbia. Interventi che, contrariamente a quanto spesso avviene, non hanno stravolto la natura, anzi l'hanno saputa valorizzare.

Lungo il sentiero si possono ammirare importanti manufatti del vecchio e del nuovo impianto, una variegata vegetazione e brevi tratti del fiume Morobbia ma soprattutto il rumore del suo scorrere sempre più prorompente con l'avvicinarsi della foce in cui si incontra con il fiume Ticino. Dai Monti di Stagno si gode poi di un'impareggiabile vista sulle montagne circostanti e sul piano di Magadino.

Il percorso, lungo circa 8 km e correlato da 9 pannelli didattici, inizia alle porte di Vellano, frazione di S. Antonio, raggiungibile grazie all’autopostale Giubiasco-Carena dalla stazione ferroviaria di Giubiasco o da Piazza Grande Giubiasco.

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LA VIA DEL FERRO

La “Via del ferro” è un itinerario tematico alla scoperta dei siti siderurgici e minerari che fino all’inizio del XVIII sec. caratterizzavano il territorio dell’alta Valle Morobbia. La Via permette di scoprire emozionanti testimonianze di quell’epoca, come gli spettacolari ruderi del Maglio e del forno di Carena, le misteriose miniere e la carbonaia dimostrativa. Il percorso si immerge poi nel suggestivo ambiente alpestre dell’alpe di Giumello e attraverso un raro bosco di pino mugo raggiunge la zona forestale di Giggio. Il percorso tematico parte dalla piazza della “Via del ferro” di Carena, dove si trovano la statua commemorativa e i primi pannelli tematici e tocca tutti i punti di interesse relativi all’attività di estrazione e lavorazione del ferro che hanno interassato l’alta valle nella seconda metà del XV sec. e a cavallo tra il 1700 e il 1800. Si possono così visitare i resti del Maglio e forno di Carena, riportati alla luce dopo che per quasi due secoli di abbandono, le due miniere della Valletta riscoperte nel 2005 (all’interno solo visite guidate) e la carbonaia dimostrativa.

L’escursione permette non solo di approfondire la conoscenza di questa attività del passato, attraverso i pannelli tematici disseminati sul percorso, ma anche di immergersi nell’emozionante paesaggio alpestre dell’alta Valle, toccando con mano anche i temi dell’alpicoltura all’alpe di Giumello e della riforestazione, avvenuta nella prima metà del secolo scorso, nella zona di Giggio.

La “Via del ferro”, percorso integrale transfrontaliero, è un itinerario tematico che ripercorre i tracciati storici che collegavano, attraverso il Motto della Tappa o Cima Verta (2078 m s.l.m.), la Valle Morobbia con le valli lombarde Cavargna e Albano e tra loro i siti minerari e siderurgici. In questi luoghi si conservano importanti vestigia delle antiche attività siderurgiche: insediamenti, carbonaie, stazioni di posta, vie di collegamento tra zone di estrazione (cave, miniere), di lavorazione (altiforni, fucine, magli ad acqua) e di smercio dei prodotti.

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FORTINI DELLA GUERRA

Il settore del San Jorio, saldamente collegato a quello del Gesero, era posto a difesa del confine con l’Italia, a protezione della cosiddetta “Fortezza Bellinzona”.

L’importanza di quest’area è dimostrata dalla costruzione tra il 1909 e il 1912 di alcuni ricoveri e di una strada carrozzabile che saliva da Arbedo. L’opera fu costruita dal Dipartimento militare federale, che diede seguito alla richiesta del Patriziato di Arbedo di diminuire la pendenza della strada dal 15% al 10% per favorire la transumanza verso l’Alpe di Gesero. Con questo accorgimento la tratta risultava allungata di circa 2 km. Il Patriziato si assunse i costi supplementari di fr. 18’000.- (10%). Nell’estate del 1911 il tracciato Arbedo-Stabio Pto. 741 era terminato, ma nel 1928 la grande frana del Motto di Arbino interruppe la strada: si dovettero cercare delle vie alternative per raggiungere la zona della Biscia. Fu quindi migliorata la strada militare che da Roveredo (GR) sale a Laura, prolungandola fino al Gesero.

La “Via del ferro”, percorso integrale transfrontaliero, è un itinerario tematico che ripercorre i tracciati storici che collegavano, attraverso il Motto della Tappa o Cima Verta (2078 m s.l.m.), la Valle Morobbia con le valli lombarde Cavargna e Albano e tra loro i siti minerari e siderurgici. In questi luoghi si conservano importanti vestigia delle antiche attività siderurgiche: insediamenti, carbonaie, stazioni di posta, vie di collegamento tra zone di estrazione (cave, miniere), di lavorazione (altiforni, fucine, magli ad acqua) e di smercio dei prodotti.

Durante la prima guerra mondiale, tra il 1915 e il 1917, furono costruite molte opere campali sul crinale dalla Biscia in direzione del Motto della Croce. Furono compiuti lavori di consolidamento del terreno e formazione di trincee, ricoveri e posizioni d’arma per cannoni calibro 12, 8,4 e 7,5 cm, mitragliatrici e lanciamine.

Con la mobilitazione generale nel 1939, il settore riacquistò importanza militare e fu ulteriormente fortificato per proteggere il Bellinzonese ed in particolare la Città di Bellinzona che dista circa 11 km in linea retta. Furono costruiti nuovi capisaldi e furono adattate e riutilizzate alcune trincee del primo conflitto mondiale tra la Biscia e il Sass Guidà.

Nonostante il degrado del tempo, molte di queste opere sono tutt’ora riconoscibili. L’itinerario proposto permette di scoprire in particolare le postazioni, ancora in buono stato, della Biscia e del Sass Guidà.

© Fortificazioni Ticinesi - www.forti.ch

LEGGENDE DELLA VALLE

Le leggende diffuse nel territorio sono molteplici e si assomigliano in molti particolari. Ricordo la fiaba del “Lupo e dell’agnello”, “Biancaneve e i sette nani”, solo per citarne qualcuna, che si sono tramandate nel tempo. Altre si sono perse, cancellate dal ritmo frenetico della vita, che concede sempre meno tempo alla riflessione e limitando l’inventiva della gente. A questo proposito meritano ospitalità quelle riproposte da Rodolfo Boggia nella sua pubblicazione “Dolce nido”, che riporto integralmente. Tratto integralmente dalla pubblicazione “Dolce nido” di Rodolfo Boggia.

Gli Scalabrini

La contesa fra i terrieri d’Isone e Sant’Antonio per i confini degli alpi Leveno e Revolte, si trascinava fin dall’epoca landfogtesca, senza che si trovasse una soluzione soddisfacente per ambo le parti. Antagonismi e odi si tramandavano di generazione in generazione. Desiderose di venire una volta a una soluzione, le parti decisero di rimettere la questione a tre arbitri forestieri: un prete, un avvocato e un medico, tutti e tre della famiglia Scalabrini. Quelli di Isone, ruvidi pastori ma sornioni insidiosi, la sera precedente il sopralluogo - narra la leggenda - trasportarono, su tre vigorose mule, gli arbitri fino all’alpe Serdena. Li colmarono di ogni ben di Dio e li comprarono alla loro causa con una cappellata di marenghi. Così, il mattino di quel memorabile giorno, mentre i delegati di St. Antonio salivano fidenti il versante nord della Valle Maggina, i tre arbitri versavano dentro le loro scarpe, grosse scarpe da montanaro, un po’ di terra della “corte” di Serdena, territorio incontrastato degli isonesi e, sperimentata la strana calzatura, si recavano sulle balze contese. L’incontro delle parti fu amichevole. Si discusse, ma bonariamente. Uno degli arbitri, l’avvocato, fece una proposta: “Noi siamo venuti quassù per decidere una buona volta questa dibattuta faccenda. Uomini di Dio, di legge e di sanità, abbiamo sviscerato con scienza e coscienza la questione. Prima però di emettere il nostro verdetto, poniamo una precisa condizione, questa: “ciascuna delle parti deve dichiarare in antecedenza di accettare il nostro giudizio, qualunque esso sia”. E continuò con un lungo discorso, veramente avvocatesco, dimostrando la necessità di stabilire buoni rapporti fra le “vicinìe”, di risolvere finalmente la spinosa questione. Gli ingenui morobbiotti, vinti dalla foga oratoria, abboccarono all’amo e accettarono la posta condizione. Altrettanto fecero gli isonesi, ma con una certa perplessità, per meglio mascherare l’insidia. Solenni, i tre arbitri si portarono allora oltre un certo confine, a valle, su terreno rivendicato da quelli di St. Antonio, poi gridarono in coro, alzando tre dita delle destre: Giuriamo che i nostri piedi riposano sulla terra di Isone. E altro non si udì dalle loro bocche; un furioso temporale li colse e li portò lontano, sulle balze del Camoghè! D’allora in poi essi vanno, senza riposo, gridando l’eterno rimorso. I nostri pastori assicurano che all’avvicinarsi di un temporale, vi vedono i tre Scalabrini vagabondare sui dirupi inaccessibili della Valle Maggina. Talvolta - aggiungono - fanno rotolare macigni, tronchi d’albero e mettono in fuga le mandrie.

Tratto dal libro "Il sapore del tempo - La valle Morobbia" di Silvano Codiroli.

NUOVA CAPANNA GESERO

Dal 2020, l'UTOE di Bellinzona sostituirà l'attuale capanna del Gesero con una nuova posizionata ad un maggior altitudine in zona Bisa. La capanna si trova in zona alpina, si trova a cavallo tra la Valle Morobbia e la Valle di Arbedo e gode di una bellissima vista panoramica.

© Capanna Gesero - www.gesero.ch

TOUR IN MTB & E-BIKE

Una bella salita per scoprire la caratteristica Valle Morobbia, lungo il tracciato della storica corsa popolare di biciclette della Svizzera italiana “Giubiasco-Carena”, che fu teatro di numerose gare a livello nazionale e di campionato svizzero.

Il punto di partenza è Giubiasco, parte meridionale dell’agglomerato di Bellinzona e affacciata sul Piano di Magadino. Dalla stazione di Giubiasco si raggiunge Piazza Grande, una delle più grandi del Cantone e fiore all’occhiello della Città con il magnifico tappeto verde costellato di una decina di sculture di autori contemporanei.

Ci si inerpica verso la Valle Morobbia da dove si gode di un’impareggiabile vista sulle montagne circostanti e sul piano di Magadino. La strada asfaltata sale per il pendio vignato che conduce a Lôro e a Pianezzo per poi proseguire verso Vellano, la prima delle cinque frazioni dell’ex Comune di S. Antonio, ora quartiere della nuova Città di Bellinzona.

Dal villaggio di Vellano vale la pena visitare la “Via dell’Acqua”, un sentiero didattico che mostra come si produce l’energia e narra la storia dello sfruttamento idrico in Valle Morobbia. Dopo Pianezzo e prima di Vellano, tenere la destra ed evitare le due deviazioni per Paudo. Più avanti, si giunge a Melera ed infine a Carena, 958 m slm, punto finale del percorso. Oltre Carena la strada sterrata porta all'area archeologica dell'antico forno e al Maglio, attivato alla fine del '700, che si trova sulla “Via del ferro”, itinerario tematico transfrontaliero che offre la possibilità di ripercorrere le strade utilizzate dai trasportatori per portare il ferro estratto e lavorato a Carena verso il Ceresio e il Lario. Sempre da Carena passa un altro interessante percorso tematico (progetto ForTI) che porta alla riscoperta delle costruzioni e fortificazioni militari risalenti alla prima guerra mondiale, che conduce fino al San Jorio e alla capanna del Gesero.

© Bellinzonese e Alto Ticino Turismo

Il dialetto e le espressioni particolari

Le espressioni dialettali sono le più pittoresche e riescono, talvolta meglio dell’italiano, a riassumere contenuti, forme e azioni. La gente di ogni villaggio faceva e fa ancora oggi frequentemente uso corrente di terminologie che spesso sono incomprensibili per chi non vive la realtà locale. Molte non sono più di uso corrente, altre sono quasi scomparse con la cessazione o il cambiamento radicale di determinate attività lavorative. In tutte le comunità si riscontrano ancor oggi modi di dire e di fare che sono specifici della realtà locale. Nel Cantone Ticino, in modo più marcato che in altri luoghi, i dialetti mutavano da villaggio a villaggio ed erano, come lo sono tuttora, sovente incomprensibili anche a coloro che parlano abitualmente il dialetto. Enumerare tutte quelle espressioni sarebbe compito improbo anche per specialisti della materia. Appare comunque interessante elencare questi termini che si riferiscono a oggetti particolari e che sono resistiti ai cambiamenti del tempo. Ecco che allora troviamo:

- la càspera ( il mestolo bucato)
- el spresü (il supporto in legno per evacuare il siero, a seguito della messa in forma della pasta di formaggio),
- el garbél (la forma rotonda in legno che si riempiva con la pasta di formaggio),
- la penàgia (la zangola),
- el penagìn (il follatoio per rimestare la panna nella zangola e farne il burro),
- la cazìna (mestolo quadrato in legno per asportare la panna dalla conca)
- la mascarpa (la ricotta), la balòta (la pasta di formaggio)
- el ciüs (lo stallino del maiale), el cudé (il porta cote per affilare la falce fienaia)
- la scròscia (la maniglia di legno sul manico della falce fienaia)
- el campàsc (la grande gerla per il trasporto del fieno), el cavàgn (il cesto in vimini)
- la füsèla (l’attrezzo di legno, con un foro per passarvi la corda, usato per stringere i mazzi di fieno)
- la rùncia (la roncola)
- la falc (il falcetto per tagliare rami)
- el scàgn (il sedile in legno a quattro gambe, o quello usato per mungere che aveva una gamba sola nel mezzo)
- el calnàsc (il catenaccio)
- el balìn (il pagliericcio per dormire)
- el trüsél (il mestolo in legno per la polenta)
- el brunz (il paiolo in ghisa per la polenta)
- la rànza (la falce fienaia)
- el beröö (il montone)
- el bòcc (il maschio della capra)
- el francés (il maiale)
- el bo (il bue)
- el fuìn (la faina)
- el talpìn (la talpa)
- la cüsa (lo scoiattolo)
- la varòzza (la marmotta)
- el cìs o curbàtt (la poiana)
- l’urôch (il gufo)
- el tàss (il tasso)
- el scurzùn (la biscia o colubro non velenoso)
- el sèrp (la serpe velenosa)
- el güdàzz (il padrino)
- la güdàzza (la madrina)

Queste espressioni sono legate o correlate in prevalenza al mondo contadino. Altre si riferiscono a oggetti, attrezzi, suppellettili o vestiario come:

- el piudé (il tetto in piode)
- la lobbia (la balconata lungo la parete di un edificio)
- el pugiöö (il balcone)
- el risciö (l’acciottolato)
- la purtèia (il cancello in legno per recintare l’orto o i campi)
- i canchen (i cardini)
- i söi (zoccoli artigianali di legno, spesso chiodati)
- el vadì (la vanga)
- el girabachìn (il trapano a mano)
- el grôbi (succhiello/trivella per operare grossi buchi nel legno)
- el vasél (la botte)
- la furcelìna (la forchetta)
- el cügià (il cucchiaio)
- la marna (recipiente in legno di forma rettangolare per impastare la carne)
- el spüsc (manico sulla cui sommità era infilato un legno quadrato, che si batteva sui ricci di castagno)
- i ferü (le castagne bollite)
- i mundàt (le castagne abbrustolite in padella)
- i pômm (le patate)
- i pômm da pianta (le mele)
- i pisöö (le pere)
- i frun (le fragole)
- i gistrùn (i mirtilli)
- el caldiröö (il paiolo in rame per la polenta)
- la bisàca (pagliericcio riempito con foglie di faggio o di granoturco)
- la curéngia (la cintura)
- i pedü (le pantofole o peduli)
- el marzinìn (la giacca)
- la pelànda (il soprabito del prete)
- la sòca (la veste da donna)



Altre espressioni o modi di dire:

-Desdàsi (malcomodo)
- el pô (il vaso, dal francese pôt)
- dare a qualcuno un fich (un pugno, snaturato dall’inglese fight)
- gràm cum’è arzini (aspro come arsenico)
- èl pudeva basà na cavra in mezz ai corn (poteva baciare una capra fra le corna tanto era magro)
- magru cum’è un picch (magro come un piccone), l’eva ciôcch cum’è un minìn (ubriaco fradicio)
- balandràn (qualunquista),
- ciraciòra (che parla a vanvera di tutto)
- brôzz cum’è un ladru (sporco come un ladro)
- güzz cum’è l funt d’ûna tina (aguzzo come il fondo di un tino)
- stüpit cum’è un’oca (stupido come un’oca)
- bambu (balordo)
- a büt e sgarbütt o un tant al toch (alla bell’è meglio)
- ignurànt cum’è un bo (ignorante come un bue)
- matt cum’è un caval (pazzo come un cavallo)
- drumì cum’è una varozza (dormire come una marmotta)
- svèlt cum’è un gatt da marmu (svelto come un gatto di marmo)
- un vöia da fànn saltum adòss (lazzarone)
- catìff cum’è l’ai (cattivo come l’aglio)
- bun cum’è l pàn (buono come il pane)
- falz cum’è Giüda (falso come Giuda)
- cürius cum’è na cavra (curioso come una capra)
- slôzz cum’è un puiö (bagnato come un pulcino)
- stùrn cum’è na campàna (sordo come una campana)
- scrubiò (balordo)
- l’`è cumè lavach el cü a l’àsen negru (è fatica sprecata)
- margnifùn (che sa navigarla)
- sprüìt (spremuto)
- masàcru (poveraccio)
- mangia pan a tradimént (mangiare a sbafo)
- tirà sü i calzètt (sposarsi)
- schivà l’ulìva (liberarsi di un problema)

Tratto dal libro "Il sapore del tempo - La valle Morobbia" di Silvano Codiroli.